Mio figlio, un maschio del futuro
Se vogliamo maschi migliori, quello che dobbiamo fare è già molto chiaro.
Gabriele ha 2 anni, compiuti a Luglio. Abbiamo una bella differenza di età e cerco di non sentirne il peso, né di farlo sentire a lui. Certo, il pensiero dell’enorme arco di vita che (sperabilmente) in totale copriremo insieme mi stordisce: io sono nato nel 1969 e lui potrebbe superare l’anno 2100 (sempre che il nostro pianeta ce la faccia, e se continuiamo così, no, non ce la fa). È un arco di 130 anni, quasi un secolo e mezzo, e la prospettiva di guidare mio figlio verso un mondo che non conoscerò, fa davvero venire le vertigini. Ma il modo migliore di affrontare il percorso è guardare la realtà all’altezza degli occhi (duh!), e i compiti principali per i genitorə di un “maschio del futuro” come è Gabriele, sono già piuttosto evidenti.
“Maschi del futuro” non è un’espressione mia, è di Francesca Cavallo, autrice del celebre Storie della buonanotte per bambine ribelli. Il 3 ottobre uscirà il suo “Storie spaziali per maschi del futuro”, anticipato da una newsletter necessaria, che si chiama, appunto, Maschi del Futuro. Qualche giorno fa in una nota, Francesca scriveva a proposito del 17enne autore della strage di Paderno Dugnano:
“C’è stata una cosa che mi ha colpito molto, ed è stata l’uso dell’aggettivo “lucido” per descrivere lo stato in cui i carabinieri hanno trovato il ragazzo (..). Non aveva una risposta emotiva forte all’accaduto, e questa circostanza è stata letta come “calma e lucidità”.
Come società, siamo stati allenati a leggere -soprattutto nei maschi - l’assenza di espressione delle emozioni come “lucidità”, come espressione del controllo razionale, quando invece si tratta di dissociazione.
Uno dei tratti più insidiosi della misoginia sta proprio nel considerare le donne come “meno lucide” perché sono più integrate con le proprie emozioni.
Se c’è una cosa che forse si può dire di questa storia terribile, in attesa di avere altre informazioni, è proprio che forse come società dovremmo cambiare la nostra percezione di cosa pensiamo che la lucidità sia, e di quello che non lo è nel modo più assoluto.
Molti di noi maschi “del passato” sono cresciuti con scarsa capacità di riconoscere le emozioni, figuriamoci vederle validate, figuriamoci integrarle. Abbiamo vissuto ambienti scolastici di piccoli e meschini bullismi centrati sull’emotività, in cui “femminuccia” e altri epiteti dispregiativi intorno a omosessualità e disabilità erano all’ordine del giorno - e purtroppo lo sono ancora in svariati ambiti lavorativi presidiati da maschi. Ricordo diversi miei coetanei adattarsi più o meno facilmente alla “legge del più forte”, io faccio parte di chi ne ha patito molto soprattutto in epoca pre-adolescenziale, grazie a una mia sensibilità di base e l’ educazione al rispetto reciproco, ma indirettamente sento di essere stato parte del problema: certi automatismi culturali (assolutamente trasversali rispetto al livello sociale), alimentati dalla rigidità emotiva familiare, sono veramente incistati nel profondo, e superarli è meno facile di quel che sembra. È da qui, da questi riflessi automatici, che viene l’associazione dell’assenza di espressione delle emozioni con la calma e la lucidità (e preferiamo meravigliarcene, piuttosto che capire dov’è l’evidente errore). Siamo abituati a pensare in questo modo, l’espressione delle emozioni è sbagliata in sé. Boys don’t cry.
Il terreno di coltura del maschilismo è soprattutto l’incapacità di integrare le emozioni in modo sano, e ancora si fa una grande fatica in ambito familiare. Credo peraltro che ci sia anche una ragione di fondo drammaticamente banale: farlo, è difficile. Con Gabriele mi sto impegnando molto a trovare un equilibrio in quello spazio indefinito tra la fermezza e l’empatia (come sta facendo anche la sua mamma), insieme a molti abbracci e affetto fisico aperto e manifestato. Nei suoi momenti di meltdown cerco di lasciare che esprima le proprie emozioni, inizio a fargliele comprendere, cerco di avere pazienza rimanendo fermo nelle mie decisioni, cerco di evitare di arrabbiarmi e di colpevolizzarlo o di tenergli il muso, cerco di contenerlo senza ostacolarlo sul piano emotivo. Cerco, appunto. Ci riesco? Eh, insomma, mica tanto. Cioè si dai, ma è dura. Sto imparando, perché è nuovo per me come padre (separato), è nuovo per me come uomo, non più giovane e pesantemente (sovra)strutturato, e anche per il mio bambino interiore, che ha molto di cui guarire. Mi sto allenando soprattutto a riconoscere - senza colpevolizzarmi, sennò siamo da capo - i miei comportamenti sbagliati, cioè tutti quegli atteggiamenti di chiusura che non sono null’altro che schermi che nascondono la sensazione di inadeguatezza. Ma se vogliamo che i maschi del futuro siano migliori di noi, tutto questo impegno è veramente il minimo indispensabile.
Ma poi c’è il ruolo di chi è più visibile: politica, istituzioni, giornalismo (e torniamo alla conferenza stampa citata da Francesca), e qui sinceramente mi pare che la situazione sia drammatica. Il paradosso di questi tempi disgraziati è che la società invisibile è probabilmente più avanti di chi ci rappresenta, ma senza il ruolo di sintesi visibile, le esperienze dal basso rischiano di confrontarsi solo su Instagram, con il risultato che ce la cantiamo e suoniamo fra bolle: meglio di niente ma comunque non abbastanza. Come sempre, c’è da sperare in una responsabilizzazione crescente di chi ne ha il ruolo, ma di sperare francamente ci siamo anche un (bel) po’ stancati, o no?
I would say I'm sorry if I thought that it would change your mind
But I know that this time
I have said too much
Been too unkind
I try to laugh about it
Cover it all up with lies
I try to laugh about it
Hiding the tears in my eyes
'Cause boys don't cry
Boys don't cry
I would break down at your feet and beg forgiveness
Plead with you
But I know that it's too late
And now there's nothing I can do
So, I try to laugh about it
Cover it all up with lies
I try to laugh about it
Hiding the tears in my eyes
'Cause boys don't cry
Boys don't cry
I would tell you that I loved you
If I thought that you would stay
But I know that it's no use
That you've already gone away
Misjudged your limit
Pushed you too far
Took you for granted
Thought that you needed me more, more, more
Now I would do most anything to get you back by my side
But I just keep on laughing
Hiding the tears in my eyes
'Cause boys don't cry
Boys don't cry
Boys don't cry
Le llustrazioni usate in questa newsletter sono open source e vengono da undraw.
Ho un bimbo di due anni e mezzo, Arturo, che fa anche rima con futuro. Seguo Francesca da tanti anni e sono stata felicissima di questo suo nuovo progetto: ho sempre pensato - anche prima di averne - che per le bambine e per le donne in genere ci siano ormai tantissimi strumenti di crescita e consapevolezza, ma per i bambini no, nessuno che pensi a immaginare vie nuove, strumenti per ripensarsi, grimaldelli che "liberino" anche questi piccoli maschi da millenni di preconcetti e mascolinità fasulla, asfissiante e stantia. Credimi: la primissima sensazione, quando ho saputo che dopo pochi mesi sarebbe arrivato un maschio in famiglia, è stata un enorme senso di responsabilità. Enorme. Il peso della responsabilità è tra le cose che ricordo di più di quei giorni: sarò in grado? Saremo in grado di educarlo alla cultura della scelta, dell'autenticità, della verità senza stereotipi di genere? Della Cura e del rispetto: di tutte, di tutti, di tutto, e di se stesso. Avremo gli strumenti per tirarlo (e tirarci) fuori dalla trappola del "si è sempre fatto così"?
Io credo fermamente che abbiamo bisogno di uomini nuovi, uomini che, cresciuti con meno gabbie di quelle che hanno imprigionato le nostre generazioni, non facciano la fatica che vedo fare al mio compagno per scrostarsi di dosso tutto quello che non vuole per sé e che non vuole (e non vogliamo) per Arturo. E non è facile, perché studiando il sistema nervoso e i trigger somatici, mi rendo sempre più conto (vedi il lavoro di Gabor Matè a riguardo), che i bambini riportano a galla anche i tuoi traumi e, nelle stanchezze della vita di ogni giorno, attivano anche il tuo pilota automatico. Trigger, traumi e automatismi privati, certo, ma anche collettivi. E, quindi, si, ce la faremo: c'è spazio per guarire l'inadeguatezza e costruirci una nuova mappa per arrivare a una nuova terra, ma solo se ci proviamo tutti insieme.
E sarà una bellissima avventura, fuori e dentro questa nl: ti seguirò!
Ci riusciamo? sì dai, ma è dura. Siamo tutti nella stessa barca, per maschi e femmine del futuro. Bellissimo pezzo. 😘